Non so quando le teorie del complotto abbiano cominciato a spaventarmi più di quanto mi facessero sorridere. Penso sia stata una cosa graduale, con brusche accelerate qui e là. È poco edificante ammetterlo però, ecco, prima mi limitavo a guardare queste cose un po’ dall’alto in basso, con bonario e sarcastico senso di superiorità: mi incuriosivano più che altro come bizzarri esempi di imbecillità diffusa.

Comunque, dicevamo: il complottismo estremo e quello moderato; le teorie della cospirazione; quello che i poteri forti non ci dicono. La terra piatta, le scie chimiche, le sette occulte di ricchi finanzieri, i pedofili nello scantinato di una pizzeria a Washington.

Mi sono chiesto perché questo fenomeno mi spaventi sempre di più. Mi sono risposto che le ragioni sono tre (la terza è il succo di questo post).

Prima ragione, facile, presto detta: alcune deliranti teorie complottiste hanno ricadute reali molto pericolose. Basta guardare il ruolo di qAnon negli assalti al Campidoglio statunitense del gennaio 2021. Non serve aggiungere altro, basterebbe già questo, passiamo oltre.

Seconda ragione: mi spaventa la velocità con cui queste teorie si diffondono e mi spaventa come ci sia terreno fertile anche dove non dovrebbe. Credo che in qualche modo ne siamo tutti condizionati. Non importa cosa io razionalmente pensi e quanto eserciti la mia capacità di giudizio. Avete presente quel principio per cui se ripeti una cosa tante volte diventa vera? Ecco, magari non diventa vera, ma sono convinto che generi in tutti noi, con diversi gradi di efficacia e penetrazione, una sorta di nascosto pre-giudizio (come opposto al giudizio). Oppure, quanto meno, che in molti di noi generi una certa forma di sospetto non esplicito, di incertezza di fondo, un po’ sotterranea e poco riconosciuta.

Ci sono gli estremi, certo, e sono quasi tutti dalla parte degli svitati che vedono microchip dappertutto. Ma non credo esista, in queste cose, una distinzione così netta tra “noi” sani e “loro” picchiatelli. Anche perché le teorie in sé sono spesso strampalate; ma non tutti gli argomenti e i fatti (reali) a loro sostegno, nonché il modo in cui sono sostenute, lo sono altrettanto. Siamo tutti sempre così capaci di distinguere correlazione e causazione?

Per dirla in breve, penso che a ciascuno di noi, più di una volta, sia capitato di chiedersi: e se ci fosse qualcosa di vero?

Intendiamoci: in senso profondo è una cosa buona; la domanda qui sopra è sempre legittima ed è da farsi sempre. Rifiutare un’idea solo perché ci sembra poco probabile è di per sé tanto miope quanto sostenerla ciecamente. Lo scetticismo è sempre un buon metodo, se applicato con la giusta frequenza e intelligenza. Ma il punto qui è un altro: per come la vedo io, siamo meno capaci di giudicare e più influenzabili di quanto crediamo. Ergo, appunto: terreno fertile.

Ed eccoci così alla terza ragione, che un po’ segue dalla seconda: il complottismo mi spaventa perché ho paura che possa dilagare incontrollato per una banale ragione statistica.

A un certo punto una di queste teorie, strampalata il giusto, guadagnerà trazione; diventerà nota e spesso citata; occuperà un ragionevole numero di video su YouTube; sarà bollata come assurdità dai più, ma difesa insieme alle altre da quelli che la sanno lunga e non si fanno fregare dal sistema.

E poi, bam, verrà fuori che è vera.

Quante teorie del complotto ci sono al mondo? Un numero imprecisato e imprecisabile; ciascuna ha un certo grado di plausibilità. Alcune, pur false, non sono così assurde. Per come la vedo io almeno qualcuna di queste è vera. Non per chissà quale qualità dell’impianto, ma per un banale calcolo delle probabilità. Anche un orologio rotto, due volte al giorno, segna l’ora giusta.

Non serve una cosa enorme e fuori di zucca come la terra piatta o i rettiliani. Basta una cosa, diciamo così, media. Una qualche élite di ricconi che ha fatto davvero seri piani per la conquista del mondo, una falsa missione spaziale, un virus creato davvero in laboratorio.

E allora sarà la fine, l’apocalisse, le cavallette. I complottisti (tutti: anche quelli di altre parrocchie) saltelleranno beati; e via felici come Zoidberg,

, verso l’alba radiosa del complottismo reale.

La teoria in questione, quella alla fine vera, di per sé non avrà nessuna importanza, ma cambierà il contesto e il terreno di scontro. Perché se sei un complottista, in genere, credi a un sacco di teorie contemporaneamente (spesso ne serve una per giustificare le altre).

Tutte le altre teorie, anche le più bizzarre, guadagneranno automaticamente uno status nuovo. Diventeranno plausibili per osmosi, per assonanza, per il solo fatto di essere state rifiutate.

Come nei migliori bias cognitivi, i complottisti useranno una teoria buona per dimostrarne cento assurde. Ci faranno notare (e lo faranno notare ai terreni fertili di cui sopra) che beh, «lo dicevate anche di Quello che era un’idea assurda. E invece guarda un po’, Quello è vero. Perché dovrei ascoltarti quando mi dici che Questo è assurdo?».

Da quel punto in poi, quando sosterremo l’assurdità di un’idea, loro sorrideranno con la mia stessa aria sarcastica di cui sopra; e risponderanno, semplicemente: «E allora parlateci di Quello».

E noi potremmo spiegare che è una questione di metodo: è il metodo che permette (almeno in linea di principio) di valutare cose che sembrano assurde ma trovano riscontro nei fatti. Potremmo tirare in ballo Popper e la falsificabilità. Potremmo effettivamente parlare di Quello e di Questo, cercando di spiegare come il punto sia l’approccio e non la singola teoria (come nel caso dell’orologio rotto, che segna l’ora giusta, ma per le ragioni sbagliate).

Ma non mi risulta che chi diceva «parlateci di Quello» abbia poi mai davvero ascoltato le persone che, pazientemente, gliene parlavano, di Quello.

 

Ps. L’immagine di copertina viene dal momento in cui si dimostra vera una delle teorie complottiste più vecchie di tutti. Gli alieni sono tra noi. E saperlo ci aiuterà a distruggere la loro giga-astronave-madre.